La radioterapia nel tumore prostatico - Psa alterato

Vai ai contenuti

La radioterapia nel tumore prostatico

Le malattie della prostata > Il tumore prostatico

[image:image-1]CONTACTS
e-mail informazionipsa@gmail.com
Scrivete ai nostri consulenti.
Disclaimer


" ..L'indagine su  una malattia  inizia dalla perfetta conoscenza di essa.. "

LA VISITA UROLOGICA INTERATTIVA

Le vostre domande

Quali sono le radioterapie ?

Quando si può esegue una radioterapia ?

Che risultati dà la radioterapia ?

Quali sono le complicanze delle radioterapie ?

La radioterapia nelle metastasi ossee

A cosa serve la radioterapia in caso di preogressione di malattia dopo prostatectomia radicale ?

Come si monitorizza il trattamento radioterapico ?
(sottotitolo : Follow up dopo radioterapia)

I tassi di sopravvivenza libera da progressione biochimica per la RADIOTERAPIA CONFORMAZIONALE  3D-CRT e la brachiterapia sono virtualmente sovrapponibili a quelli della prostatectomia radicale per la malattia in stadio precoce.

Quali sono le radioterapie ?

Il trattamento radioterapico radicale può essere utilizzato in tutti i pazienti affetti da tumore prostatico in stadio da T1 a T3.

Esistono varie tecniche di radioterapia per il tumore della prostata.
1. Radioterapia a fasci esterni
2. Brachiterapia


a. Radioterapia "convenzionale"
Si intende per radioterapia "convenzionale" la tecnica di irradiazione a fasci esterni erogata con pianificazione bidimensionale (2-D) e dose totale non superiore a 65-70 Gy. Questo approccio ha mostrato in passato notevoli limiti in ambito clinico con l'impossibilità di controllare adeguatamente la malattia, anche se localizzata, come evidenziato dal fallimento biochimico a 5 anni registrato in oltre la metà dei pazienti. La scarsa componente tecnologica della radioterapia convenzionale rende di fatto impossibile l'incremento della dose totale a livelli tali da garantire la radicalità, se non a prezzo di gravi ed inaccettabili effetti collaterali.

La tecnica convenzionale è la più semplice da pianificare, ma è considerata obsoleta a causa della limita della dose e dell'elevata incidenza di complicanze.


b.Radioterapia conformazionale 3-D
Questa tecnica è stata resa possibile dalla disponibilità di sistemi computerizzati basati sulla TC, sia per la pianificazione terapeutica, sia per la ricostruzione tridimensionale (3-D) del volume bersaglio e degli organi critici. Essa permette quindi la somministrazione di dosi assai elevate di radiazioni, con accurata conformazione della stessa intorno al bersaglio tumorale, e riduzione significativa dell'esposizione dei tessuti sani circostanti.
Le esperienze cliniche che hanno utilizzato questa metodica per erogare dosi superiori a quelle "convenzionali" (sino a 78-80 Gy) stanno evidenziando la possibilità di ottenere un incremento del controllo biochimico di malattia di circa il 30% a 5 anni. Pur non esistendo ancora evidenze (anche a causa di un periodo di osservazione relativamente breve) della superiorità della radioterapia conformazionale 3-D nei confronti di quella convenzionale per quanto attiene la guarigione, emerge tuttavia che la tollerabilità del trattamento a parità di dosi erogate, espressa in termini di tasso di complicazioni, è nettamente migliore. Per tale motivo, la radioterapia conformazionale 3-D può essere considerata per il trattamento del cancro prostatico localizzato e localmente avanzato (T1-T3).
Pur non essendoci per ora prove di efficacia di superiorità rispetto alla radioterapia tradizionale, in base a osservazioni provenienti da un RCT di inferiorità di incidenza di effetti collaterali specialmente gastrointestinali, il panel raccomanda che la radioterapia conformazionale 3D sia una tecnica da prendere in considerazione in tutti i casi in cui sia necessario erogare dosi non altrimenti somministrabili con la tecnica convenzionale.

c. Radioterapia con intensità modulata
La radioterapia con intensità modulata (IMRT) fornisce una ulteriore possibilità di incrementare la dose totale di irradiazione sul volume bersaglio, riducendo la tossicità locale, in particolar modo a livello del retto. L'esperienza del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York su oltre 700 pazienti con tumore della prostata in stadio T1-T3 trattati con dosi scalari da 81 a 86,4 Gy ha evidenziato una sopravvivenza libera da malattia (controllo biochimico del PSA) a 3 anni del 96, 86 e 81%, rispettivamente nei pazienti a prognosi favorevole, intermedia e sfavorevole, con una percentuale di tossicità gastrointestinale grado 2 di solo il 4%16.
La combinazione tra la tecnica IMRT, una miglior accuratezza nell'identificazione del bersaglio grazie alle moderne metodiche di immagine, e un maggior precisione del posizionamento del paziente e delle procedure di verifica grazieall'impiego di sistemi "on-line" basati sugli ultrasuoni, o su tecniche radioscopiche, permette un guadagno logisticorappresentato della riduzione del tempo totale della terapia. L'elevata precisione consente infatti una riduzione dei margini geometrici intorno al bersaglio, quindi una minore esposizione degli organi al rischio. Si può pertanto effettuare una terapia ipofrazionata, superando una delle maggiori limitazioni della radioterapia esterna nei confronti delle altre possibilità terapeutiche.





Una maggiore dose di radiazione porta a un migliore controllo di malattia


Dosi fino a 80 Gy possono essere somministrate abbastanza agevolmente e con pochi effetti collaterali con la Radioterapia conformazionale 3D-CRT

Quando si può eseguire una radioterapia ?

Il trattamento radioterapico radicale può essere utilizzato in tutti i pazienti affetti da tumore prostatico in stadio da T1 a T3.

La radioterapia esterna consente di ottenere tassi di controllo locale compresi tra l'85 e il 96% nei pazienti in stadio T1b-T2, e tra il 58 e il 65% in stadio T3.
Per i pazienti con malattia classificata clinicamente come intraprostatica e con fattori prognostici favorevoli o intermedi , e pertanto candidati a terapie locoregionali con finalità radicale, la scelta tra le diverse opzioni terapeutiche (prostatectomia radicale, radioterapia con fasci esterni, brachiterapia) dovrà quindi basarsi non tanto sul risultato atteso, ma piuttosto sull'età del paziente, sulle preferenze (anche in considerazione delle diverse tipi di sequele tra i trattamenti), sulla capacità professionale dell'equipe dei medici chiamata ad erogare il trattamento, e sulle disponibilità di tipo tecnologico (questa valutazione è indispensabile nel caso della radioterapia con fasci esterni o della brachiterapia).
Si ritiene quindi sia doveroso sottoporre al paziente un consenso informato che contenga tutte le informazioni sulle terapie proposte.
I pazienti con prognosi sfavorevole non possono aspirare, se non in una proporzione più limitata, alla guarigione. Anche in questi pazienti è tuttavia necessario perseguire l'obiettivo del controllo adeguato della malattia a livello locale (di solito ottenibile in sufficiente quantità con la radioterapia esterna, eventualmente associata all'ormonoterapia). In tutti i casi è opportuno che la scelta terapeutica sia sempre più il frutto della collaborazione e del confronto tra i diversi specialisti chiamati ad occuparsi di questi pazienti, indipendentemente dalla potenzialità delle singole misure terapeutiche.

Che risultati dà la  radioterapia ?

Sebbene ad oggi non esistano studi prospettici randomizzati che abbiano confrontato la chirurgia con la radioterapia,  quasi tutti gli studi retrospettivi o di coorte suggeriscono che entrambe offrono le stesse elevate percentuali di sopravvivenze globale e libera da malattia, con una qualità di vita almeno equivalente.

Le complicanze della Radioterapia

La tossicità tardiva del trattamento radiante consiste essenzialmente negli effetti sui distretti gastrointestinale e genitourinario, e cioè in:

  • Proctiti

  • Diarre croniche

  • Ostruzioni intestinali,

  • Cistiti

  • Ematurie

  • Stenosi ureterali e uretrali

  • Incontinenza urinaria.


La radioterapia può inoltre influenzare la funzione erettile, anche se in misura minore della chirurgia.

Una recente metanalisi ha mostrato che la probabilità di mantenere una normale potenza sessuale dopo un anno dalla sola brachiterapia è del 76%, dalla brachiterapia combinata a radioterapia a fasci esterni è del 60%, e dalla radioterapia a fasci esterni esclusiva è del 55%. Questi dati ben si confrontano con quelli della chirurgia, con la quale tale probabilità scende al 34% quando si utilizzino tecniche "nerve-sparing" ed al 25% dopo prostatectomia radicale standard. Tali differenze sembrano inoltre aumentare con l'allungamento del periodo di osservazione.

Il ruolo della radioterapia palliativa quando il tumore  è sfuggito al controllo ed ha dato le metastasi ossee.

Quali altri ruoli può avere la  Radioterapia ?
(la radioterapia palliativa)

La radioterapia può svolgere un ruolo palliativo importante soprattutto nel dolore da metastasi ossee, uno dei problemi maggiori del paziente con malattia avanzata.
La radioterapia a fasci esterni si è dimostrata molto utile in questi casi, ma anche l'uso di radioisotopi per la radioterapia metabolica ha dimostrato una notevole efficacia, soprattutto in pazienti con metastasi osteoblastiche.
Lo Stronzio-89 è un isotopo beta emettitore analogo al Calcio e si concentra nelle regioni ossee con un ricambio minerale aumentato. Perciò la ritenzione nei pazienti con metastasi ossee è molto più elevata rispetto a quelli sani.  Quando somministrato da solo, questo isotopo ha diminuito il dolore osseo nell'80% dei pazienti, dopo 2-3 o al massimo 6 settimane, per un periodo di 4-15 mesi. Quando impiegato come aggiunta alla radioterapia esterna si è evidenziata una progressione di malattia più lenta. Nei primi 2-3 giorni alcuni pazienti segnalano un aumento del dolore.
Più recentemente è stato anche utilizzato il Samario-153.
Alcuni vantaggi di questo radioisotopo nei confronti dello Stronzio sembrano dovuti alla presenza di una componente gamma che consente la misurazione della biodistribuzione
e ad una emivita molto minore, parametro utile ai fini della radioprotezione. Entrambi determinano tossicità ematologica.
La radioterapia metabolica viene di solito preferita nei pazienti con metastasi multiple. La radioterapia a fasci esterni rimane tuttora la meno invasiva, la meno gravata da complicazioni ed effetti secondari, la più economica ed accessibile nel caso di un numero limitato di secondarismi ossei. Numerosi studi hanno cercato di definire una dose e un frazionamento che garantisca la migliore risposta, ma i diversi schemi utilizzati, da 8 Gy in frazione singola ai 30 Gy in 10 frazioni hanno avuto risultati analoghi per quanto attiene il controllo del dolore, con il 50-80% dei pazienti in remissione parziale ed il 20-50% in assenza di sintomo. Quindi la frazione unica di 8 Gy potrebbe essere considerata come uno standard accettabile, con un'evidente guadagno per il paziente, ma anche per il carico di lavoro del reparto e le liste di attesa. Per il ridurre il rischio di frattura patologica la dose totale e il frazionamento sono ancora argomento di discussione. L'utilizzo dei bisfosfonati, sostanze che inibiscono gli osteoclasti, rappresenta un'altra modalità di controllo della
sintomatologia algica. Nello studio di Saad e collaboratori condotto su 643 pazienti, l'acido zoledronico, l'ultimo rappresentante della classe, ha dimostrato una riduzione degli
eventi scheletrici rispetto al placebo (44% versus 33%), con una incidenza di fratture patologiche inferiori (13,1% versus  22,1%). Per quanto riguarda il controllo del dolore il 70-
80 % dei pazienti ha avuto un netto miglioramento.
La limitazione dell'impiego può derivare da uno dei pochi effetti collaterali di queste molecole: la necrosi mandibolare che sembra più frequente di quanto prevista, anche se manca ancora una sistematica descrizione di questo evento.



LA RADIOTERAPIA HA UN RUOLO NELLA PROGRESSIONE DI MALATTIA dopo IL TRATTAMENTO PRIMARIO ?

La scelta dell'ulteriore trattamento quando interviene la progressione di malattia dipende da svariati fattori: il tipo di trattamento precedentemente adottato, la sede della ricaduta, la presenza di patologie concomitanti e, non ultimo, il personale punto di vista del paziente. I pazienti che mostrino esclusivamente una ricaduta a livello locale dopo chirurgia radicale possono beneficiare di un trattamento radioterapico sulla loggia prostatica. Anche i pazienti con recidiva biochimica esclusiva dopo chirurgia con neoplasie primitive ben differenziate (Gleason Score < 7), livelli iniziali di PSA 10 ng/ml e soprattutto con un aumento molto lento dei livelli di PSA (tempo di raddoppiamento > 6 o, meglio, >12 mesi), possono essere avviati a radioterapia della loggia prostatica quando il PSA eccede il valore di 0,5 ng/ml36; il valore di 1ng/ml sembra essere il limite soglia al di sopra del quale la probabilità di controllo risulta decisamente ridotta.
Anche se i risultati sono ancora limitati, è possibile che pazienti selezionati, che mostrano una ricaduta locale dopo radioterapia, possano essere avviati a prostatectomia o brachiterapia di salvataggio ovvero ad altre metodiche come la crioterapia o il trattamento con HI-FU, che sono comunque in fase di studio.


Follow up dopo radioterapia

Il dosaggio del PSA dopo la radioterapia per neoplasia prostatica è l'indicatore più sensibile per valutare l'efficacia terapeutica e la ricaduta della malattia.
A differenza di quanto vale per la prostatectomia radicale ( dove esiste una sostanziale evidenza che l'azzeramento del PSA dopo prostatectomia testimonia della radicalità dell'intervento e che la eventuale comparsa di PSA dosabile dopo qualche tempo dalla chirurgia, è indicativo per la ripresa di malattia) ...la situazione è più controversa quando si tratta di valutare l'andamento del PSA come indicatore dello stato di malattia dopo radioterapia radicale.
In primo luogo la diminuzione del valore di PSA nei confronti del valore iniziale ha una temporalità non costante. Normalmente si assiste ad una lenta e progressiva riduzione dello stesso, sino al raggiungimento di un valore minimo stabile (il cosiddetto Psa  nadir). Il tempo richiesto è variabile dai 17 ai 32 mesi.
Il valore del nadir è il punto di riferimento fondamentale per valutare l'eventuale fallimento della radioterapia in termini di ripresa biochimica.
La definizione di ricaduta biochimica attualmente in uso è quella proposta dall'American Society for Therapeutic Radiology and Oncology (ASTRO) nel 1996 e pubblicata l'anno successivo nell'ASTRO Consensus Guidelines for PSA Following Radiation Therapy.
Tale definizione definisce la ricaduta biochimica dopo radioterapia radicale con tre rialzi consecutivi del PSA, a distanza di tre mesi, dopo il raggiungimento del valore di nadir, e quindi indipendente da qualsiasi valore soglia. Il momento della ricaduta viene posto a metà tra il tempo del nadir e quello del primo rialzo.
La sensibilità e la specificità di tale metodo nel predire l'effettiva ricaduta clinica, locale o a distanza è rispettivamente del 60 e del 72%.
Le linee guida proposte dall'ASTRO comprendono anche i seguenti punti:

1. la ricaduta biochimica non giustifica di per sé ad iniziare un trattamento, in quanto non è equivalente a una ricaduta clinica
2. rappresenta comunque un end-point adeguato per la valutazione dei risultati degli studi clinici
3. nessuna definizione di ricaduta biochimica è dimostrato essere un valido surrogato per la sopravvivenza o per la ricaduta clinica,
4. il nadir rappresenta un fattore prognostico fortemente predittivo, ma non esiste un cutoff che distingue un successo terapeutico da un insuccesso.

Torna ai contenuti