La chemioterapia nel tumore della prostata - Psa alterato

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La chemioterapia nel tumore della prostata

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" ..L'indagine su  una malattia  inizia dalla perfetta conoscenza di essa.. "

LA VISITA UROLOGICA INTERATTIVA

Quale è il ruolo attuale della chemioterapia? Esiste uno
standard chemioterapeutico?
La chemioterapia è stata finora considerata di scarso ausilio terapeutico per varie considerazioni che si possono così riassumere:
1. mancanza di studi di fase III randomizzati che abbiano valutato gli effetti a lungo termine, soprattutto l'eventuale impatto sulla sopravvivenza globale;
2. assenza di strumenti atti a valutare un eventuale impatto positivo sulla qualità di vita, considerando che il trattamento di questa neoplasia ha, in questa fase, un ruolo palliativo;
3. difficoltà di utilizzare criteri uniformi di risposta;
4. tossicità di alcuni trattamenti chemioterapici, in relazione alla tipologia dei pazienti trattati, spesso in età avanzata, con Performance Status scadente e gravati da comorbidità.

Negli anni '80 la terapia con antracicline (doxorubicina, epirubicina) ed estramustina fosfato aveva condotto a tassi di risposta del 10-15%
La nuova era del trattamento chemioterapico è iniziata negli anni '90 con la pubblicazione degli studi clinici con Mitoxantrone.
Il trattamento con Mitoxantrone alla dose di 12 mg/m2 ev ogni 3 settimane, ha dimostrato un vantaggio sulla palliazione (controllo del dolore, calo del PSA, tempo alla progressione) nei confronti della somministrazione di soli corticosteroidi, ma con un tasso di risposte obbiettive < 10% e senza alcun impatto sulla sopravvivenza globale.

Sempre negli anni '90, sono stati sperimentati altri chemioterapici quali gli Alcaloidi della Vinca e i Taxani che, in combinazione tra loro o con Estramustina Fosfato, hanno condotto ad un aumento delle risposte cliniche e ad una tendenza al miglioramento della sopravvivenza in studi clinici di fase II.
Peraltro, è solo con la pubblicazione dei dati definitivi dei due studi includenti Taxotere (TAX 327 e SWOG 9916) che la chemioterapia ha dimostrato di poter incrementare la sopravvivenza globale di questi pazienti e ridurre la mortalità  da 20 a 24%.
Il primo studio31, condotto su 1.066 pazienti, ha confrontato Docetaxel 75 mg/m2 ev ogni tre settimane versus Docetaxel 30 mgm2 alla settimana per 5 settimane ogni 6 + rednisone 10 mg/die versus Mitoxantrone 12 mg/m2 ev e Prednisone allo stesso dosaggio, ha dimostrato un aumento di sopravvivenza globale di 2,4 mesi (p=0.009) a favore del braccio sperimentale con Taxotere trisettimanale.
Nel secondo studio, che ha reclutato 770 pazienti, la combinazione di Docetaxel 60 mg/m2 ogni tre settimane ed Estramustina fosfato 280 mg tre volte al dì nei giorni 1-5 ha evidenziato una superiore efficacia anche in termini di aumento della sopravvivenza (2 mesi, p=0.025) nei confronti di Mitoxantrone + Prednisone.
Si può concludere che quando le condizioni cliniche del paziente lo permettano, la chemioterapia con Taxotere trisettimanale rappresenti il nuovo standard terapeutico del carcinoma prostatico ormonorefrattario perchè in grado di aumentare la sopravvivenza globale; è da considerare che negli studi sopracitati è stato anche dimostrato un vantaggio sugli "endpoints" secondari, cioè calo del PSA, controllo del dolore e qualità della vita.
Per quanto concerne la polichemioterapia, non vi sono al momento attuali studi clinici di fase III che ne consentano di definirne la superiorità nei confronti della monochemioterapia.

Quali nuovi chemioterapici e quali nuovi approcci sono disponibili?
Poiché la sopravvivenza dei pazienti affetti da carcinoma prostatico ormono-refrattario può essere aumentata dopo il trattamento chemioterapico di I linea, è necessario poter disporre di una chemioterapia di II linea dopo l'eventuale trattamento chemioterapico con Taxotere. Farmaci specifici approvati con questa indicazione al momento non ne esistono, tuttavia farmaci molto promettenti e in stato di avanzata sperimentazione clinica (fase II e III) sono il Satraplatino e l'analogo dell'Epotilone B Ixabepilone.
Approcci innovativi nella terapia medica di questa neoplasia potrebbero prevedere l'uso di nuovi farmaci, quali gli inibitori della neoangiogenesi come la Talidomide e il Bevacizumab4, il metabolita della vitamina D Calcitriolo, agenti favorenti l'apoptosi quali l'oligonucleotide anti-senso Oblimersen36, l'antagonista dell'endotelina A Atrasentan, che in uno studio condotto su 288 pazienti con trattamento a due differenti dosi vs placebo ha evidenziato un beneficio sul tempo alla progressione del PSA, in pazienti metastatici ma asintomatici.
Alcuni di questi nuovi agenti sono stati studiati in combinazione al docetaxel in studi di Fase II, ma si dovrà tuttavia attendere l'esito degli studi randomizzati di fase III in corso, prima di trarre conclusioni sulla loro efficacia.

Quando iniziare la chemioterapia?
Il tumore prostatico androgeno-indipendente è una malattia sempre più eterogenea. Fino ad ora non è stato condotto alcun trial prospettico randomizzato con la finalità di definire il timing ottimale dell'inizio di un trattamento chemioterapico.
Pertanto, in assenza di dati definitivi, è appropriato utilizzare un approccio individualizzato per ogni singolo caso in relazione ai fattori di rischio presenti, come la precedente responsività al trattamento ormonale, l'intervallo alla progressione, le sedi di malattia (locoregionali vs metastatiche), il Performance Status, l'età, i livelli di LDH, l'eventuale presenza di infiltrazione midollare. La scelta del trattamento può avvalersi anche dei nomogrammi e il tempo di raddoppiamento del PSA, che possono essere indicativi della
spettanza di vita del paziente con malattia metastatica e quindi costituire un valido ausilio nel decidere quando e quale trattamento ottimale offrire al singolo paziente.
Si potrebbe quindi riassumere che:
Nel soggetto che presenti solo una ripresa biochimica (aumento del PSA) senza malattia metastatica documentabile nessun trial ha risposto al quesito di quale strategia adottare; non esiste comunque evidenza alcuna che il trattamento chemioterapico possa essere di beneficio in questa situazione.
Per i pazienti con malattia metastatica ma asintomatica il tipo di trattamento (ormonoterapia Vs chemioterapia) da intraprendere andrebbe deciso caso per caso.
La chemioterapia è invece chiaramente indicata nei pazienti con malattia metastatica e sintomatica.

Si deve continuare la terapia ormonale?
Il beneficio sulla sopravvivenza del proseguimento del trattamento ormonale antiandrogenico in corso di chemioterapia è stato rilevato da uno studio prospettico, e confermato
da alcuni dati osservazionali.
Anche se altri studi retrospettivi non sembrerebbero confermare questa ipotesi, esiste una certa concordanza nel proseguire questo trattamento (anche se non scevro di effetti collaterali a lungo termine) per la possibilità dell'esistenza di una popolazione cellulare che mantiene l'ormono-sensibilità.

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